Il nucleare “usa e getta”
Category : Nucleare
Suscita apprensione per la sicurezza internazionale il progetto finanziato dalla Casa Bianca tramite il GNEP per realizzare mini reattori “usa e getta” da esportare nei paesi in via di sviluppo. Ne parla il New Scientist.
Entro il 2030 la domanda di energia a livello globale crescerà, secondo alcuni proiezioni, del 50% e questo aumento sarà dovuto per circa il 70% alla richiesta dei paesi in via di sviluppo. Una sfida energetica per cui l’amministrazione Bush ha una soluzione pronta: nucleare per tutti. Questo il senso, segnala il New Scientist in un articolo sull’argomento, dei 20 milioni di dollari messi in bilancio dalla Casa Bianca per il 2009 per la produzione di reattori nucleari di piccole dimensioni da esportare ai paesi in via di sviluppo.
Lo stanziamento è il primo atto concreto nell’ambito Global Nuclear Energy Program (GNEP), il programma internazionale lanciato dalla Casa Bianca nel febbraio 2006 cui hanno aderito finora 21 paesi, tra cui anche l’Italia. Una partnership internazionale per la ricerca sul nucleare di ultima generazione che si pone l’obiettivo di diffondere l’energia dall’atomo ai paesi in via di sviluppo, condividendo il know-how, ma riservando, per motivi di sicurezza, la fornitura del combustibile e le operazioni di riprocessamento ai paesi che già sono leader nel campo.
Obiettivo del GNEP è costruire il primo reattore in un paese, che al momento non dispone di energia nucleare, già nel 2015. I paesi che accetteranno le nuove centrali dovranno impegnarsi a utilizzare il nucleare solo per scopi civili e rinunciare ad approvvigionarsi di uranio per conto proprio o a riprocessare il combustibile una volta esausto.
Una manciata di nazioni tra cui Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Giappone e Australia riciclerebbero così il combustibile usato negli altri paesi avvalendosi di tecnologie che minimizzerebbero la produzione di sottoprodotti come il plutonio e, dunque, il rischio di proliferazione di armi atomiche. Tecnologie che però, sottolinea uno studio dell’US National Academy of Sciences per ora sono tutt’altro che sperimentate. I reattori da realizzare nell’ambito del GNEP, di piccole dimensioni (250-500 megawatt contro i 1.400 dell’ultimo costruito negli USA), sarebbero una sorta di modello “usa e getta”: verrebbero infatti forniti con il combustibile sufficiente all’intero ciclo di vita dell’impianto già sigillato al loro interno.
Il programma non ha mancato di suscitare critiche, come quelle del Centre for Nonproliferation Studies di Monterrey in California: “Al momento non ci sono reattori a prova di proliferazione”, spiega Elena Sokova, ricercatrice del centro studi internazionale e, inoltre, sottolinea: “il combustibile esausto dovrebbe essere stoccato sul posto per diversi anni prima che il livello di radioattività si abbassi a sufficienza perché sia possibile trasportarlo”. Secondo la Sokova i progetti del GNEP caricherebbero i paesi in via di sviluppo di responsabilità che non sono in grado di affrontare: “Molti paesi non sono pronti in termini di personale qualificato, manutenzione e misure di sicurezza contro eventuali attacchi terroristici. Penso che si debba procedere con cautela e valutare prima se esistano veramente ragioni valide per esportare questa tecnologia.” Poche garanzie ci sono inoltre – continua la ricercatrice – sul fatto che i paesi neo-nuclearizzati sopportino il fatto di dover dipendere da altre nazioni per l’approvvigionamento di combustibile e non pensino di fare in proprio il riprocessamento; un aspetto che renderebbe loro possibile anche ricavare il plutonio con cui costruire armi atomiche.
Un programma dunque, quello voluto dagli Stati Uniti con il GNEP, che dovrebbe essere valutato tenendo conto, oltre che degli ingenti costi intrinseci al nucleare, anche delle possibili ricadute in termini di sicurezza internazionale. Valutazione, quella sulla sicurezza, che la Casa Bianca ha sempre dichiarato essere prioritaria nelle sue scelte.
Tratto da qualenergia.it