Energy revolution
Category : Tecnologia
di Alessio Mannucci da ecplanet.com
Nella terza parte del quarto rapporto dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change), dedicata alle strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici, si legge che oggi, a livello globale, sforniamo 26 miliardi di tonnellate annue di gas serra, una quantità in continuo aumento: tagliando le emissioni del 50% rispetto al trend attuale, si risparmierebbero 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra nel settore della produzione di energia, 1,8 miliardi di tonnellate nei trasporti, 5,6 negli edifici, 3,5 nell’industria, 2,8 in agricoltura, 2,1 nella riforestazione, 0,7 nei rifiuti.
Nell’era pre-industriale, in atmosfera si misuravano 270-280 parti di anidride carbonica per milione; oggi sono già 380. Arrivare al raddoppio, cioè a quota 550, comporterebbe un aumento della temperatura valutabile in 3 gradi. Le conseguenze sarebbe molto pesanti: nel mondo tra uno e quattro miliardi di persone sarebbero costretti a convivere con la penuria di acqua; cambierebbe il ritmo dei monsoni; potrebbe rallentare o fermarsi la corrente del Golfo mutando drasticamente il clima dell’Europa atlantica. Con l’ipotesi del dimezzamento delle emissioni entro il 2050, che il governo inglese ha ufficialmente lanciato, invece si stabilizzassero le emissioni serra in modo da non superare una concentrazione pari a 445-490 parti per milione. In questo modo la temperatura aumenterebbe di poco più di 2 gradi rispetto all’era pre industriale. Anche in questo caso le conseguenze sarebbero gravi ma meno drammatiche rispetto allo scenario precedente. Con due gradi di aumento, l’Africa in particolare subirebbe colpi duri: la capacità agricola diminuirebbe del 5-10 per cento; altri 50 milioni di persone sarebbero esposti al rischio malaria; l’erosione della biodiversità si aggraverebbe. Ma sarebbe comunque una limitazione del danno.
I numeri forniti dall’IPCC mostrano che il settore che garantisce la maggiore possibilità di risparmio è l’edilizia: entro il 2020, il 30% delle emissioni serra nel settore degli edifici potrebbe essere evitato a “costo negativo”, cioè con investimenti che permettono guadagni in tempi rapidi. Mentre nel settore energetico, in ballo ci sono investimenti al 2030 pari ad almeno 20 trilioni di dollari che potrebbero essere convertiti in maniera intelligente. Per far fronte a una domanda di energia che tende al raddoppio, gli esperti delle Nazioni Unite fanno notare anche che sarebbe più conveniente migliorare l’efficienza energetica (cioè ridurre gli sprechi) piuttosto che costruire nuove centrali.
Si stima che entro il 2030 le fonti rinnovabili forniranno un terzo della domanda di energia elettrica. Anche i I trasporti possono fare la loro parte, e, pure in questo caso, gli investimenti nell’aumento dell’efficienza sono a costo zero, anche se, si legge nel rapporto, “la forza del mercato, da sola, non porterà a una significativa riduzione delle emissioni”. Secondo le stime ONU, nel 2030 i biocarburanti raggiungeranno il 3% del totale. C’è poi il capitolo agricoltura e foreste. In campo agricolo, il 90% della riduzione di emissioni di carbonio deriva da un miglior uso dei suoli, mentre il 65% del risparmio di gas serra in campo forestale può venire da un intervento nella fascia tropicale. Il rapporto dell’IPCC prende anche in considerazione le opzioni di geo-ingegneria, dalla fertilizzazione degli oceani agli specchi orbitanti per bloccare la radiazione solare, ma le liquida con un giudizio secco: “Rimangono largamente speculative e presentano il rischio di effetti collaterali non noti”.
Guarda caso, a criticare il rapporto elaborato dagli esperti dell’ONU e discusso in Tailandia, a Bangkok, dove si sono riuniti 400 tra esperti e rappresentanti diplomatici di tutto il mondo, ci hanno pensato Stati Uniti e Cina, i due paesi che più contribuiscono all’effetto serra, sostenendo che l’obiettivo di ridurre le emissioni sarà più costoso e richiederà più tempo di quanto affermano gli scienziati. I due governi hanno criticato anche le posizioni di gran parte dei governi europei, secondo cui le emissioni di gas serra non devono superare una concentrazione pari a 445 parti per milione di CO2 (il livello attuale di emissioni è di circa 430 ppm): secondo Washington e Pechino, un’azione rapida contro le emissioni di gas serra permetterebbe di limitare l’innalzamento delle temperature a 3,6 gradi Fahrenheit (2 gradi Celsius). Secondo l’International Energy Agency (IEA), la Cina nel corso del 2007 potrebbe spodestare gli Stati Uniti dal vertice della classifica dei Paesi più inquinatori del pianeta e diventare il primo produttore mondiale di anidride carbonica e degli altri gas all’origine dell’effetto serra. Pechino finora ha sempre respinto qualsiasi limite alle emissioni, accusando i Paesi dell’occidente sviluppato di essere i principali colpevoli dei cambiamenti climatici.
Nella settimana in cui l’IPCC presenterà il suo documento sulle misure da adottare per mitigare il cambiamento climatico, un nuovo rapporto, “I Costi Economici dell’Energia Nucleare”, commissionato da Greenpeace e pubblicato da un team internazionale di economisti ed esperti di energia, dimostra in maniera incisiva che l’energia nucleare non è né una soluzione pratica né economicamente sostenibile. Secondo il rapporto, la costruzione di una centrale nucleare può superare del 300% il budget previsto e, in media, impiegare quattro anni in più per la costruzione rispetto a quelli pianificati. Il rapporto esamina le ragioni degli enormi ritardi e dei costi eccedenti comuni ai progetti di costruzione di energia nucleare, ed esprime preoccupazione sulla sicurezza e affidabilità delle nuove tecnologie.
Questi i punti salienti del rapporto: di paese in paese, la costruzione di una centrale nucleare ha sempre superato in maniera cospicua il budget previsto; i lunghi periodi di costruzione sono sintomatici di una serie di problemi, incluso il fatto di dovere affrontare la costruzione di reattori dalla progettazione sempre più complessa; tenendo conto delle enormi sovvenzioni richieste, di prezzi elevati e non competitivi dell’energia, della scarsa affidabilità e del serio rischio di costi eccedenti in modo sproporzionato, l’energia nucleare non ha alcuna chance di essere economicamente sostenibile per i paesi interessati a un approvvigionamento competitivo di energia; restano preoccupazioni significative e diffuse sulla sicurezza di base, sullo smaltimento dei rifiuti e sullo smantellamento degli impianti esistenti; esistono perplessità simili sulle nuove, non ancora provate, tecnologie nucleari.
Un chiaro esempio di questi problemi è la costruzione in corso a Olkiluoto, in Finlandia, di un reattore europeo pressurizzato ad acqua (EPR) di nuova generazione – il primo di questo tipo – che dopo soli diciotto mesi di costruzione ha già accumulato un ritardo di diciotto mesi sul programma, superando già adesso il budget previsto di 700 milioni di euro. Anche in un mercato totalmente liberalizzato come quello degli USA, il governo ha stanziato forti sussidi economici per la mancanza di sufficienti investimenti privati da oltre venti anni. “L’industria nucleare non ha mai mantenuto le promesse fatte riguardo alla sua capacità di far fronte ai bisogni energetici”, spiega uno degli autori del rapporto, Stefan Thomas, professore di Politiche energetiche all’Università di Greenwich: “Finora la storia dimostra il disastroso fallimento del nucleare: decidere la costruzione di nuovi reattori eliminerebbe la possibilità di effettuare gli investimenti necessari in tecnologie rinnovabili ed efficienza energetica, per rispondere ai futuri bisogni di energia in modo economicamente e ambientalmente sostenibile”. “Questa analisi indipendente fa cadere il mito che l’energia nucleare è una fonte possibile e sostenibile di energia e indica chiaramente che i suoi conti non quadrano”, dichiara Giuseppe Onufrio, direttore dellecampagne Greenpeace Italia: “Queste conclusioni mostrano che l’energia nucleare non è niente di più che una pericolosa e costosa distrazione dalle soluzione reali per il cambiamento climatico. Esistono alternative più economiche, più sicure, più efficaci quali le fonti di energia rinnovabile e lo sviluppo di misure di efficienza energetica, come è indicato nel piano Energy Revolution di Greenpeace”.
Il rapporto, inoltre, è sostenuto da una recente analisi condotta dal World Energy Council, che ha mostrato che i tempi per completare la costruzione di reattori nucleari è aumentato da 66 mesi nella metà degli anni Settanta, a 116 mesi (quasi dieci anni) per quelli costruiti fra il 1995 e il 2000. Questi ritardi enormi evidenziano il fatto che l’energia nucleare contribuirà troppo poco e troppo tardi alla sfida per affrontare il cambiamento climatico. Un recente rapporto diffuso dallo statunitense Council on Foreign Relations rende noto che gli USA ora possiedono 103 reattori nucleari in funzione e che, anche prolungando di vent’anni il loro ciclo di vita, tutti i reattori esistenti probabilmente dovranno essere smantellati entro metà del secolo. Per sostituire i reattori esistenti negli USA, dovrebbe essere costruito un nuovo impianto ogni quattro o cinque mesi nei prossimi quarant’anni.
Per consentire lo sviluppo delle rinnovabili e per abbandonare fonti pericolose come nucleare e carbone, sarà necessario investire in misure di efficienza nei diversi settori dell’edilizia, dell’industria e dei trasporti. Secondo le stime del rapporto “Energy [R]evolution: A sustainable World Energy Outlook”, elaborato da Greenpeace insieme a EREC (European Renewable Energy Council), entro il 2050, circa il 75% dell’elettricità potrebbe essere prodotta da fonti rinnovabili (idroelettrico, eolico e solare), mentre nel settore della fornitura di calore, il contributo delle rinnovabili (biomasse, collettori solari e geotermico) potrebbe crescere fino al 65%. In questo modo sarà possibile contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi, scongiurando le conseguenze catastrofiche irreversibili del cambiamento climatico.
Le rinnovabili sono pronte a diventare la spina dorsale dell’economia mondiale non solo nei Paesi OCSE, ma anche in Paesi in via di sviluppo come Cina, India e Brasile. Europa, Stati Uniti ed economie in transizione dovranno tagliare la CO2 oltre il 70%, mentre Cina, India e Sud America potranno fermarsi al 35% rispetto ai livelli del 1990. Greenpeace, nel suo rapporto, offre, per prima, una strategia globale e dettagliata su come ristrutturare il sistema energetico mondiale, mettendo in evidenza l’urgenza di prendere decisioni chiave in campo energetico da parte di governi, società finanziarie e compagnie di elettricità. “In Italia, rinnovabili ed efficienza – afferma Francesco Tedesco, responsabile della campagna Clima ed Energia di Greenpeace – sono l’unica strada per conseguire contemporaneamente tre obiettivi fondamentali: rilanciare l’economia creando nuovi posti di lavoro, allentare la morsa della dipendenza energetica del Paese dall’estero, e porre un freno alla minaccia del riscaldamento globale”.
L’efficienza energetica è una leva fondamentale di questa strategia, perché le fonti rinnovabili, peraltro necessarie, da sole non bastano: serve un aumento significativo dell’efficienza negli usi finali e nella produzione di energia. Secondo lo studio, esiste in Italia un potenziale di efficienza enorme, anche superiore al 20% dei consumi globali. E i dati presi in esame sono sottostimati, perché derivano da ipotesi cautelative: sono state considerate solo tecnologie già disponibili sul mercato e i modelli di calcolo hanno analizzato solo gli interventi per i quali sono disponibili maggiori dati e informazioni (lampade, motori industriali, frigocongelatori, monitor, apparecchiature industriali e lavatrici etc.).
Serve a questo punto una volontà politica.
Il settore elettrico nell’Europa allargata è ancora dominato da grandi impianti centralizzati per la produzione di elettricità e almeno l’80% di questi sono alimentati da combustibili fossili e nucleari. È necessario che l’Unione Europea proceda ad una rapida riforma del settore energetico, visto che quasi tutte le previsioni indicano che, con l’attuale sistema energetico, fra 45 anni le emissioni di anidride carbonica potrebbero aumentare di circa il 50%. In particolare, la strada da perseguire comporta per i governi europei alcune importanti decisioni: definire obiettivi vincolanti di utilizzo delle rinnovabili per la produzione di elettricità, calore e trasporti; dare all’energia rinnovabile priorità di accesso alle reti; spostare gli investimenti dai combustibili fossili e nucleari alle rinnovabili, iniziando con l’eliminare sussidi diretti e indiretti alle fonti convenzionali, con un conseguente risparmio dei contribuenti (nel 2004, la European Environment Agency ha stimato che i sussidi a carbone, petrolio e gas sono stati pari a oltre 23,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi per le fonti rinnovabili).
Entro il 2025, due miliardi di famiglie nel mondo potranno beneficiare di energia elettrica grazie al solare fotovoltaico. Già nel 2005, la potenza fotovoltaica installata nel mondo ha raggiunto i 5 mila Megawatt, con una crescita del 40%in più rispetto al 2004. Finora, i consumatori hanno avuto poca possibilità di scelta per l’approvvigionamento energetico e hanno dovuto subire i continui aumenti del costo del kilowattora in bolletta. Con il fotovoltaico non sarà più così.
Entro il 2050, potrà invece arrivare dal vento circa il 34%dell’energia mondiale. Il vento permetterà di “risparmiare” – ossia di non emettere in atmosfera – ben 110 miliardi di tonnellate di CO2 da qui al 2050, che corrispondono alle emissioni di anidride carbonica dell’intera Europa in un arco di tempo di 25 anni. Finora, la crescita dell’eolico è stata notevole, se paragonata alle altre fonti rinnovabili: dal 1995 al 2005, la potenza installata nel mondo è cresciuta di dodici volte. Ma il sole e il vento non sono tutto. C’è anche l’efficienza energetica da sfruttare: se potessimo sostituire oggi tutte le apparecchiature elettriche con le tecnologie efficienti già disponibili sul mercato arriveremmo a risparmiare fino al 30% dielettricità. Greenpeace chiede ai governi di tutto il mondo di adottare politiche di supporto allo sviluppo delle fonti alternative. Al momento, lo strumento più efficace per “spingere” le rinnovabili sono gli incentivi in “conto energia”. In Italia, occorre ripensare il limite al numero di impianti finanziabili, così da soddisfare al meglio la domanda dei consumatori.