Catturare il vento a 100 metri da terra. L’Italia produce energia in Texas
Category : Varie
Dal basso, il pigro girare delle pale richiama il ritmo solenne delle ali di un albatro in volo. Per capire cosa ci voglia a muoverle, bisogna salire in cima, cento metri più in alto. Qui il vento sta soffiando a 54 chilometri l’ora, la velocità ottimale per le pale della centrale: imbragato da due moschettoni assicurati al tetto, sembra di volare in un elicottero senza cabina e senza sedile. La torre è alta come un palazzo di 20 piani e, da lì, se ne vedono a decine sparse sui bassi rilievi della pianura sterminata, dove i campi di cotone del Texas nord-occidentale cedono il passo ai cespugli e all’erba secca del paesaggio aspro di Non è un paese per vecchi, l’ultimo film dei fratelli Coen.
Se c’è un posto in cui, le turbine hanno, in qualche modo, la storia dalla loro parte, è questo. Per arrivare alle centrali eoliche di Snyder, infatti, ci siamo lasciati alle spalle un orizzonte altrettanto vuoto, anch’esso punteggiato, però, da decine di macchinari: le trivelle di uno dei grandi bacini petroliferi americani, lo scenario dove è stato girato un altro film da Oscar, Il petroliere. Dalle trivelle alle turbine: quasi come vedersi scorrere davanti agli occhi il passaggio alla nuova frontiera dell’energia.
Perché quest’angolo di Texas arricchito dal petrolio è diventato in pochi anni uno dei centri pulsanti dell’industria eolica americana. E qui l’Enel è venuta a investire 100 milioni di dollari, per impiantare quella che, a oggi, è la sua più grande centrale a vento: le 21 turbine in funzione a Snyder da dicembre, infatti, valgono 63 megawatt, quanto basta per alimentare il bisogno di elettricità di 12 mila famiglie americane e di 36 mila italiane, abituate a consumare assai di meno.
Una potenza cospicua secondo i parametri italiani, anche se ormai ordinaria, a livello mondiale. Si tratta, del resto, solo di un primo capitolo. In questi giorni, annuncia Tony Volpe, l’amministratore delegato di Enel North America, l’azienda italiana ha fatto partire un’altra centrale eolica, questa volta nel Kansas, da oltre 100 megawatt, che presto potranno diventare 200. Siamo ancora lontani dalle grandi centrali a combustibili fossili: uno solo dei tre gruppi della centrale di Civitavecchia vale oltre 600 megawatt.
Ma Civitavecchia va a carbone, invece che con l’energia pulita di Snyder. E le distanze di scala si vanno riducendo. Insieme all’invasività delle turbine a vento. Se questa centrale texana riesce a toccare i 63 megawatt con 21 turbine, invece di 40, è perché costituisce una "prima volta". E’, infatti, il primo impianto commerciale al mondo ad avere turbine alte 105 metri, invece dei normali 80. E’ una differenza importante. Perché, più si va in alto, più il vento è forte e costante. E perché, più si va in alto, più larghe possono essere le eliche che, infatti, qui, hanno un diametro di 90 metri, contro i tradizionali 60. Il risultato è che ognuno dei rotori Enel di Snyder ha una potenza di 3 megawatt, contro gli 1,5-2 megawatt delle altre turbine.
L’aumento di potenza è una vittoria della tecnologia e degli ingegneri (della Vestas, il gigante danese dell’industria mondiale del vento, in questo caso), ma anche una conferma dello stadio raggiunto dall’energia eolica. Di solito, i salti di scala (più grande, più grosso) avvengono quando una tecnologia diventa "matura". E, nel caso del vento, dice Volpe, si può parlare ormai di una tecnologia "consolidata".
La disposizione delle turbine è minuziosamente studiata al computer per ottimizzare la capacità di prender vento. A volte ce n’è troppo: le turbine si fermano da sole se il vento supera i 90 chilometri l’ora. La velocità ottimale è quella di adesso, 50 chilometri l’ora. Ma il punto chiave, per una centrale eolica, spiega Stephen Pike, il direttore operativo di Enel North America, è che il vento sia costante. Il rischio, infatti, è che ce ne sia troppo quando non serve e troppo poco quando servirebbe. Il suo costo – oggi fra gli 8 e 15 centesimi di dollaro a chilowattora, calcola Volpe – sta rapidamente scendendo verso i 5-6 centesimi di una centrale a gas. Ma la sua erraticità condanna l’energia eolica ad essere solo un complemento di altre fonti più continue.
Può essere, però, un complemento particolarmente robusto. Quanto, lo si capisce proprio qui, a Snyder. In quest’area del Texas, il vento spira, in media, nell’anno, a 30 chilometri l’ora. E questo ha attirato l’attenzione non solo dell’Enel. Le sue 21 turbine-record sono la posta che l’azienda italiana ha gettato sul tavolo di una competizione già accesa, dove, gomito a gomito, si confrontano molti dei protagonisti mondiali dell’energia, come, una volta, si confrontavano trivella contro trivella. Nell’area di Snyder, infatti, le turbine si contano ormai a centinaia. In tutto, sono 1200.
Se le considerassimo una unica centrale, ci troveremmo di fronte ad una potenza di 2000 megawatt, quanto una megacentrale a gas o a carbone: l’energia sufficiente per 400 mila famiglie americane e un milione italiane. Il Texas, del resto, si sta affermando come la locomotiva della rivoluzione del vento in corso negli Stati Uniti: con oltre 4 mila megawatt già installati (in Italia sono, in tutto, 603) ha doppiato la California. Altri 1200 sono già in costruzione.
E’ qui, un po’ più a nord di Snyder, che la Shell sta progettando di costruire la più grande centrale eolica al mondo, da 3 mila megawatt. Solo per essere, inevitabilmente, scavalcata da un texano purosangue. Vecchia – e famosa – volpe del petrolio, T. Boone Pickens, convinto che il tramonto dell’oro nero sia ormai imminente, si è riconvertito alle energie rinnovabili ed ha annunciato di essere pronto ad investire 10 miliardi di dollari per una centrale eolica da 4 mila megawatt, non lontana da quella progettata dalla Shell.
Sono segnali che gli scenari potrebbero mutare rapidamente nell’industria delle energie rinnovabili. Frenata, finora, dall’indifferenza dell’amministrazione Bush per le energie alternative, l’America si sta svegliando. Con 57mila megawatt di energia eolica installati, l’Europa è ancora in testa nella corsa al vento dell’elettricità. Ma gli Usa sono già arrivati quasi a 17 mila megawatt e, presto, potrebbero scavalcare la Germania. Gli effetti della partenza in ritardo sono, peraltro, ancora visibili. Due terzi dei progetti di nuove centrali eoliche in costruzione in Texas sono di compagnie elettriche straniere, soprattutto europee. E il divario è altrettanto visibile sul piano strettamente industriale: solo metà delle centrali già costruite in Texas e un quarto di quelle in costruzione hanno o avranno pale e turbine di tecnologia americana. Vestas (danese), Gamesa (spagnola), Suzlon (indiana) sono le più presenti.
Ma quando un gigante economico e tecnico come l’America si mette in moto, è la sua stessa inerzia interna a modificare gli equilibri complessivi. Nel 2007, gli investimenti europei nelle energie rinnovabili, il cosiddetto "cleantech", sono stati solo un terzo degli investimenti Usa. E lo scettico Bush sta per lasciare la Casa Bianca. Diversamente dalla rivoluzione informatica, tutta a stelle e strisce, la rivoluzione tecnologica in corso, quella del cleantech, aveva visto, finora, gli americani in coda, europei, indiani e cinesi in testa. Ma, direbbero i cronisti sportivi, siamo solo alla prima curva.
di Maurizio Ricci da Eco dalle Città