Congresso Wec: una
Category : Energia
Dinnanzi alla fatidica soglia del petrolio a 100 dollari al barile l’umanità ha ripreso a interrogarsi con affanno sul proprio futuro energetico. Lo farà in particolare da oggi a giovedì 15 novembre a Roma, in occasione del 20° Congresso del World Energy Council (Wec), la più antica e autorevole organizzazione non governativa del settore che riunisce 94 Paesi per «promuovere la fornitura e l’uso sostenibile dell’energia per il miglior vantaggio di tutti».
Un obiettivo che rischia di diventare decisamente incerto in un futuro neppure troppo remoto. Lo studio «Deciding the Future: Energy Policy Scenario to 2050», di cui Il Sole-24 Ore anticipa in esclusiva le parti essenziali, sostiene infatti che la domanda mondiale di energia raddoppierà prima di quella data, sulla spinta di un boom demografico che farà balzare gli utilizzatori da sei a nove miliardi di unità. In teoria, afferma il paper, esiste un sufficiente volume globale delle varie fonti, ma la loro disponibilità risulta legata al prezzo – che, se elevato, aumenta le quantità sfruttabili, rendendo conveniente il ricorso anche alle risorse marginali, ma pone fuori mercato i "clienti" più deboli – e, soprattutto, al loro utilizzo in forme razionali ed efficienti. In altri termini, disponiamo di grandi risorse di combustibili fossili, specie non convenzionali, che copriranno ancora la maggior parte della domanda da qui a metà secolo; ma esse, da sole, non potranno soddisfarne il previsto raddoppio. Specie se resterà valido l’obiettivo, politicamente qualificante, di dimezzare da 2 a 1 miliardo entro il 2035 il numero di quanti non dispongono di almeno 500 kWh annui e dimezzarlo ancora a 500 milioni nel 2050.
Le enormi quantità di denaro necessarie per questi sviluppi (che l’Agenzia internazionale dell’Energia calcola in 20mila miliardi di dollari fino al 2030) dovranno provenire da uno sforzo congiunto d’investitori pubblici e privati, sia per la ricerca scientifica volta a limitare le emissioni nocive, sia soprattutto nella realizzazione d’impianti e infrastrutture giganteschi. A garantire questa massa di risorse necessarie a soddisfare bisogni altrettanto grandi saranno chiamate, in uno sforzo senza precedenti, le classi dirigenti di tutti i Paesi. Ma – e qui sta la chiave di volta dell’intero problema – occorreranno «tre forme di cooperazione e integrazione: da governo a governo, sotto forma di trattati e accordi internazionali, per esempio sugli standard o le regole di commercio, delle partnership pubblico-privato sui singoli progetti e una rete di accordi a livello di singola impresa».
Le grandi istituzioni mondiali saranno all’altezza dei grandi compiti loro affidati: garantire una governabilità sufficientemente autorevole e nel contempo flessibile, affiancare e stimolare il settore privato a intervenire ma senza pretendere di sostituirsi a esso, essere autorità regolatrice senza trasformarsi in soffocante Moloch burocratico? Lo studio del Wec ruota proprio sul problema della governance internazionale, cruciale in una fase di risorse disponibili sempre più esigue rispetto ai bisogni, e delinea quattro possibili scenari (vedi schede sovrastanti), denominati secondo le caratteristiche di alcuni dei grandi animali della savana, che tengono conto, secondo l’accennata filosofia del Wec, di tre concetti base nella "somministrazione" dell’energia: l’accessibilità (quantità ragionevoli per tutti), la disponibilità (forniture credibili e sicure) e l’accettabilità (soddisfacenti obiettivi sociali e ambientali).
Quali prospettive energetiche, dunque, ci attendono a metà secolo? Aspettando l’avvento della fusione nucleare controllata, che ci dovrebbe assicurare energia pressochè illimitata a costi ragionevoli e senza conseguenze per l’ambiente – di cui peraltro lo studio non fa cenno, considerata la difficoltà di prevederne prima la concreta fattibilità e poi l’industrializzazione – ci aspetta un mondo che, pur se ancora alimentato in prevalenza dai combustibili fossili (vedi schede a lato), dovrà a ogni costo imparare a bruciarli con il minor impatto possibile, pena danni ambientali e alla salute umana gravissimi e irreversibili. E che dovrà sapersi inventare un cocktail flessibile ed efficiente di fonti complementari, servendosi preferibilmente di quelle più vicine agli utilizzatori finali là dove sono prodotte, anche per ridurre tempi e costi (prevedibilmente sempre più onerosi) di trasporto, e non disdegnando il ricorso anche alle piccole produzioni individuali.
Tratto da il Sole 24 ORE di Paolo Migliavacca