Fukushima, chi ha tradito i principi “kaizen”?
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Articolo di Roberto Vacca pubblicato su laStampa del 27 aprile 2011
Qualcuno ha detto: «Il nucleare è troppo rischioso, perché ha prodotto un disastro tremendo perfino in Giappone – il Paese che usa alta tecnologia di qualità eccellente. Figurarsi che accadrebbe in Italia col nostro pressappochismo».
Non è un ragionamento sensato. Alti livelli di sicurezza si garantiscono elaborando «alberi di eventi», capaci di analizzare le conseguenze di ogni possibile rischio.
Si assicurano anche costruendo «sistemi ridondanti»: in caso di guasto ogni funzione è svolta da altre unità e per altre vie. Ma in Giappone è inaffidabile proprio la rete elettrica.
Fu creata nel 1896 già suddivisa in due parti, quando aziende elettriche delle regioni orientali importarono apparati Siemens (funzionanti a corrente alternata a 50 Hertz, cioè 50 cicli al secondo) e altre nelle regioni occidentali ne importarono da Westinghouse e General Electric (funzionanti a 60 Hertz). Le due reti hanno dimensioni poco diverse e sono restate separate e incompatibili per 115 anni – fino a oggi. Quindi le centrali dell’Ovest, non coinvolte nel recente disastro, non potevano e non possono essere collegate per alimentare utenze della parte Est. In mezzo c’è una centrale di conversione di frequenza, ma la potenza massima che può trasformare da 60 a 50 Hertz è meno di un GigaWatt (un milione di kiloWatt), cioè la metà dell’1% della potenza totale.
Questa può produrre 80 GigaWatt nella parte Est e 120 GigaWatt nella parte Ovest. La situazione è documentata nella letteratura tecnica e, naturalmente, su Internet. È una situazione assurda: molti elettrotecnici italiani non riescono a credere che i giapponesi l’abbiano ereditata tranquillamente. Ai tempi antichi in Italia esistevano piccole reti a 42 Hertz, ma si allinearono sui 50 Hertz come il resto d’Europa. I tecnici anziani ricordano che le linee ferroviarie liguri-piemontesi furono costruite nel 1925 (e fino alla guerra) in corrente trifase (3000 Volt, 16 2/3 Hertz). Dopo la guerra tutte le ferrovie italiane usarono corrente continua a 3000 Volt – standard unico. I giapponesi portano un ritardo di oltre 60 anni. Fare energia nucleare o semplicemente gestire l’energia di un Paese in queste condizioni è molto, troppo rischioso.
La gestione di grandi sistemi tecnologici non è una scienza esatta. Si giova anche di principi semplici che chiunque può capire. I giapponesi hanno vantato la teoria e la pratica del «kaizen» – la tendenza al miglioramento continuo: operare ogni giorno meglio del giorno prima, innalzando la qualità, la sicurezza, la funzionalità e la semplicità di ogni impianto, di ogni fabbrica, di ogni prodotto. Ai lavoratori giapponesi si insegna a tenere nota delle proprie esperienze e a comportarsi come piccoli scienziati. Ma l’impegno personale non basta: lavoratori e operai si organizzano, allora, in «circoli di qualità» per discutere problemi e cercare soluzioni nuove.
Teoria e pratica della gestione totale di qualità furono introdotte in Giappone dopo la Seconda guerra mondiale da famosi esperti americani (Baldridge e Juran). Si parlava di «difetti zero» – e a ragione. La perfezione dei prodotti nipponici divenne proverbiale.
Però hanno trascurato questi sani principi proprio nel settore dell’energia elettrica, in cui la rete rappresenta una ricchezza enorme. Rende disponibile l’energia ovunque sia richiesta e ovunque sia generata – ma in Giappone no. E il principio del «kaizen» è stato disatteso anche nelle centrali nucleari di Fukushima.
Furono costruite 40 anni fa: per modernizzarle non è stato disponibile un giorno solo, ma 14.600 (vale a dire 40 x 365). Invece sono rimaste alla tecnologia di mezzo secolo fa.
Nei progetti moderni la sicurezza deve essere intrinseca: gli interventi di raffreddamento non sono affidati a circuiti di controllo che fanno partire motori, ma a fenomeni naturali come la dilatazione di metalli e la forza di gravità.
Piccoli reattori nucleari a sicurezza intrinseca sono stati progettati (ma non costruiti) anche a Roma. L’eccellenza della qualità non può essere solo vantata: va progettata, realizzata e controllata.