Quattro centrali entro il 2020. Ecco il piano nucleare dell’Enel
Category : Nucleare
Quattro centrali di terza generazione che nel 2020 copriranno almeno il 10% dei consumi di energia in Italia, vale a dire 6000 megawatt, più il sito per lo stoccaggio delle scorie radioattive. Un progetto gestito o dalla sola Enel o da un consorzio guidato dal gruppo pubblico e composto dalle altre aziende produttrici (Edison, Eni, Sorgenia, le ex municipalizzate…) e dalle industrie energivore. Il tutto in un quadro normativo certo e definito.
La "ricetta" dell’Enel per il ritorno al nucleare è ormai pronta: l’amministratore delegato del colosso elettrico, Fulvio Conti, la presenterà al governo nei prossimi giorni consegnando un piano articolato al quale i tecnici del gruppo lavorano ormai da qualche mese e che, ora, si inserirà nel solco dell’accelerazione impressa dal ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola. "Entro cinque anni la prima pietra delle nuove centrali nucleari italiane", è l’impegno del ministro annunciato giovedì all’assemblea di Confindustria, e il progetto dell’Enel stima una tabella di marcia teorica che si spalma su nove anni: due per l’allestimento del contesto normativo, due per l’iter delle autorizzazioni, quattro per la costruzione e uno da conteggiare per eventuali ritardi in corso d’opera.
La tecnologia indicata è quella del nucleare di "terza generazione migliorata", dal momento che i vertici dell’Enel non vedono prospettive temporali praticabili per le centrali di quarta generazione (quelle, per intenderci, che non produrranno scorie radioattive); verrebbe sfruttata al meglio, inoltre, la competenza tecnologica acquisita dagli uomini del gruppo nel corso degli ultimi anni al di fuori dall’Italia, ovvero in Slovacchia attraverso la Slovenske Elektrarne, in Spagna attraverso l’Endesa e in Francia con la partecipazione al progetto Epr.
Il piano si dispiega su tre livelli. Innanzitutto quello normativo, con la previsione di una legge delega che fissi il contesto nel quale poi collocare singoli provvedimenti su autorizzazioni e controlli. "Una legge – è la tesi espressa a più riprese da Conti – che, modificando il titolo V della Costituzione (ripartisce le competenze tra Stato ed enti locali, ndr) presenti a Comuni e Regioni un percorso ben definito. Si tratterebbe, in sostanza, di riportare le scelte strategiche al livello più alto della politica, cioè al Parlamento e non alla singola amministrazione locale, completando inoltre la filiera del nucleare con il collegamento a università e alla ricerca".
Il secondo livello del progetto riguarda l’identificazione delle zone del Paese dove dislocare le centrali e il sito per lo stoccaggio delle scorie radioattive. Enel nel documento non fa nomi, lasciando la scelta ad una parte terza – dunque, governo e Parlamento – alla quale vengono comunque sottoposti i criteri classici di valutazione utilizzati a livello internazionale (rischi sismici e di esondazione, densità abitativa). In questo senso, la pole position spetterebbe ai territori che già ospitano impianti nucleari (quelli realizzati e poi disattivati dal referendum del 1987 – Latina, Trino, Garigliano, Caorso – o bloccati in corso d’opera, come Montalto), mentre per quanto riguarda il sito di stoccaggio delle scorie, i ragionamenti dei tecnici non escludono la scelta di un impianto provvisorio, lasciando inoltre sul tavolo sia l’opzione dell’interramento che quella del deposito in superficie.
Terzo livello, infine, sugli aspetti finanziari. Il piano non fissa una stima certa sul costo complessivo del progetto, mettendolo in relazione alle varie opzioni tecnologiche attualmente a disposizione dell’Enel: da quella nipponico-americana della Westinghouse (utilizzata in Spagna), a quella francese dell’Epr, a quella russa presente in Slovacchia. Stesso discorso per il problema delle coperture assicurative e delle formule di finanziamento. Un’aleatorietà finanziaria che caratterizza il piano di Enel, ma non il report diffuso ieri da Ubs: secondo la banca svizzera, l’approdo dell’Italia al nucleare entro il 2020-23 comporterebbe per il gruppo controllato dal ministero dell’Economia un aumento del valore nominale di 2 miliardi di euro ogni 1.000 megawatt di potenza installata. Vale a dire un beneficio di 0,1 euro ad azione per i soci Enel.
Articolo tratto da Repubblica.it di MARCO PATUCCHI