Una forte spaccatura sul clima tra Usa ed Europa
Category : Clima
tratto da ingegnere.info
Le resistenze di Bush a sottoscrivere il documento preparato dalla Germania creano una netta divisione di vedute sul post Kyoto tra Stati Uniti e UE. I negoziati probabilmente slitteranno dopo la nomina del prossimo presidente americano.
Come interpretare lo scontro sul clima che si sta manifestando nel corso del vertice di G8 di Heiligendamm?
Nel 2001, la decisione dell’Amministrazione Usa di non ratificare Kyoto non era giunta inaspettata, considerati anche gli umori del Congresso nei confronti degli impegni previsti dal Protocollo.
Le attuali resistenze a sottoscrivere il documento preparato dalla Germania, presidente di turno del G8, invece stupiscono e, al tempo stesso, sembrano inevitabili.
Per certi versi si tratta infatti di una sorpresa, considerato che gli Usa avevano negli ultimi mesi approvato i rapporti dell’Ipcc, che contengono indicazioni molto chiare sulle necessità di tagli radicali delle emissioni. In particolare nei documenti delle Nazioni Unite si segnala la necessità di arrivare rapidamente a un rallentamento delle emissioni globali per iniziare una loro riduzione nell’arco di 15-20 anni.
Una sfida molto ambiziosa, considerando che tra il 1990 e il 2010 la produzione di anidride carbonica dovrebbe aumentare del 50%, e questo malgrado il leggero rallentamento della crescita determinato da Kyoto.
Una presa di posizione dei maggiori paesi industrializzati del G8, coerente con le indicazioni dell’Ipcc, avrebbe rappresentato un segnale decisivo rispetto al futuro delle trattative del post-Kyoto. Questo spiega le resistenze americane. Con motivazioni francamente risibili, se non fosse per le possibili gravi conseguenze sull’ecodiplomazia. “Noi puntiamo sull’innovazione tecnologica piuttosto che sull’imposizione di limiti alle emissioni” ha dichiarato Bush. Ma come pensano gli altri Paesi di raggiungere gli obbiettivi, se non attraverso un forte salto tecnologico? Dunque il re è nudo. Non riduciamo le emissioni perché non vogliamo/sappiamo farlo.
Ma questa indifendibile posizione provoca dei contraccolpi interni rischiando di mettere in seria difficoltà i repubblicani nella corsa alla Casa Bianca. Clima e Iraq saranno infatti due temi caldi della campagna elettorale appena partita.
Dunque come spiegare questo autogoal di Bush, a meno di un dietrofront dell’ultimo minuto o di un annacquamento dei testi da parte della Germania?
Evidentemente la sottoscrizione di un documento chiaro e netto in sede dei G8 viene considerato troppo impegnativo per le discussioni sul post Kyoto. Un conto è approvare un rapporto della comunità scientifica internazionale, altra cosa è dare il proprio avvallo ai più alti livelli politici a scelte drastiche di riduzione.
Lo scenario, al momento, è dunque quello di una spaccatura sul clima Usa-UE (e forse anche Giappone) che farà slittare i negoziati sul post-Kyoto alla nomina del prossimo Presidente degli Stati Uniti.
E mentre avviene questo braccio di forza, tutti scrutano le mosse della Cina che entro il prossimo anno strapperà agli Usa il primato di maggiore emettitore di gas climalteranti.
L’atteggiamento cinese non è ancora ben definito. Si lasciano degli spiragli aperti, ma al tempo stesso si vorrebbe evitare di assumere impegni.
Per coinvolgerla nelle trattative occorreranno proposte innovative. Per esempio, considerando che una parte importante delle emissioni del gigante asiatico sono relative a produzioni che soddisfano i consumi del resto del mondo (dai vestiti agli elettrodomestici, dai computer alle celle solari, ecc.), si potrebbe ragionare su una proposta che separasse queste emissioni (che ricadono su una responsabilità collettiva) da quelle “locali” relative cioè alla domanda interna cinese.
Occorrerebbe ovviamente intervenire per ridurre la crescita di entrambe, ma con pesi e attribuzioni diverse.
Gianni Silvestrini
Direttore Scientifico del Kyoto Club