Nucleare come uno spot pubblicitario

Nucleare come uno spot pubblicitario

Con il prezzo del petrolio che ha raggiunto livelli record la questione energetica è tornata con prepotenza centrale nella politica italiana, forse anche perché da decenni in Italia non esiste una politica energetica: non si riescono a realizzare centrali elettriche, rigassificatori e non è neppure facile realizzare un tetto fotovoltaico; è quasi del tutto assente una indispensabile coscienza e consapevolezza dei risparmi energetici ottenibili in tutti gli ambiti da quello industriale a quello domestico, passando per il terziario.

Il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, e la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, vedono nel ritorno alla tecnologia nucleare la possibile chiave di svolta per competere alla pari con gli altri paesi europei e rilanciare così il sistema Italia. Premettendo che non si può e non si deve essere contrari in modo aprioristico ad una tecnologia, la questione nucleare così come è stata posta sembra più che altro una campagna mediatica che fa leva sull’emotività indotta dal prezzo del petrolio a 135 $ al barile. Personalmente mi risulta difficile pensare che nel paese dove non si riesce a risolvere il problema dell’immondizia si sia in grado di costruire una centrale nucleare, siamo il paese dove presidi sanitari, quali le discariche vengono dichiarate aree militari. Non riusciamo ad andare oltre il pregiudizio del rifiuto, che dovrebbe essere considerato a tutti gli effetti come una fonte rinnovabili. Mi chiedo come pensiamo di risolvere il problema delle scorie nucleari, problema che altri paesi come la Francia tanto per citarne una a caso non ha del tutto risolto e gli esperimenti nucleari nell’Oceano Pacifico di qualche anno fa non lasciano pensare a niente di buono.

Nei prossimi giorni Enel presenterà al Ministro Scajola il programma per il ritorno al nucleare, le sue previsioni da quello che si legge sulla stampa nazionale sono di realizzare le nuove centrali in nove anni: due per redigere l’apparato normativo, due per l’iter delle autorizzazioni, quattro per la costruzione e uno da conteggiare per eventuali ritardi in corso d’opera. Nel mondo, nel periodo 2001-2005 sono stati completati 16 reattori la cui realizzazione (dai permessi all’allacciamento alla rete elettrica) è avvenuta con tempi che si attestano attorno ai 200 mesi, quasi venti anni.

Posare la prima pietra tra cinque anni vuol dire che si sta puntando su tecnologie vecchie, quella che viene definita “terza generazione”, la “quarta” quella in grado di bruciare tutto il combustile è ben lontana dall’essere realizzata. Gli Stati Uniti che guidano un consorzio di paesi , impegnati in questa ricerca, pensano di realizzare un prototipo per il 2025. Invece di facili proclami sarebbe più utile lavorare per far conquistare all’Italia un posto di rilievo nella ricerca del nucleare di quarta generazione ed evitare di contrapporre due tecnologie che non sono concorrenti.

C’è una particolarità che accomuna tecnologie rinnovabili e nucleari: il knowhow che in entrambi i casi è sempre più di origine estera. Così se da una parte si riduce la dipendenza dal tipo di fonte energetica (gas 50%, carbone 15% e petrolio 12%) dall’altro si contribuisce ad aumentare quella tecnologica. Ed è proprio questa dipendenza che induceva Confindustria a parlare di declino del sistema Italia, tanto da quantificare in 53 anni il gap per raggiungere la performance media europea, contro i 22 della Romania e i 10 della Lituania (Gestione Energia 1/2008). Da qui il bisogno di cambiare prospettiva e strategia: l’energia non deve essere pensata unicamente in termini di infrastrutture, tariffe e mercato ma anche in termini di conoscenze e competenze (informazione, sviluppo della ricerca e trasferimento all’industria). Senza conoscenze e competenze non ci può essere indipendenza e non solo non ci sarà sviluppo economico ma neanche culturale e sociale.

Ma è proprio vero che con il ricorso al nucleare il costo dell’energia si abbasserà? Secondi i dati del Mit i costi del chilowattora prodotto con carbone e gas sono rispettivamente di 4,2 centesimi e 4,1 centesimi di dollaro, mentre il chilowattora nucleare (di una centrale in grado di operare per quarant’anni) costa ben 6,7 centesimi di dollaro. Tanto che nemmeno l’introduzione di una carbon tax di 50 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica emessa da centrali a carbone, potrebbe rendere vantaggioso il nucleare (Maugeri, direttore Strategie e Sviluppo ENI).

Nella Puglia che già produce il doppio dell’energia che consuma, secondo uno strano principio di “solidarietà”, l’ipotesi di ritorno al nucleare ha fatto andare in fibrillazione il presidente Vendola e la sua giunta. Ambiente ed energia uno dei cavalli di battaglia puntando con decisione al primato nella produzione di energia da fonti rinnovabili.

Così al suggerimento di Raffaello De Felice, ultimo responsabile del settore impianti nucleari dell’Enel alla fine degli anni ’80 e attualmente consulente per i progetti esteri della società, di considerare adatti i siti che risultavano idonei prima del referendum (Nardò e Manduria in Puglia) ha avuto inizio la querelle politica con il Ministro dei Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto.

La mia sensazione è che si perderà di vista e verranno sottratti fondi all’uso razione ed efficiente dell’energia, la fonte di energia rinnovabile per eccellenza sulla quale si può intervenire in tempi brevi e con costi di gran lunga inferiori a quelli necessari per la realizzazione di qualsiasi centrale nucleare, rinnovabile o classica che sia.

Da Paese Nuovo del 27 maggio 2008