Tabarelli (Nomisma Energia):

Tabarelli (Nomisma Energia):

Category : Comunicazione

«Se gli Stati Uniti attaccassero l’Iran, il prezzo del petrolio potrebbe salire a 200 dollari. Se scattassero soltanto le sanzioni, la soglia dei 100 dollari a barile verrebbe facilmente superata». Non va per il sottile Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, centro di ricerca specializzato nel settore energetico. E supera perfino le previsioni nefaste della cassandra Alan Greenspan, che poche settimane fa vedeva già l’oro nero oltre quota cento. Se tuttavia lo scenario mediorientale non dovesse prendere una deriva drammatica, le speculazioni potrebbero perdere forza e non sarebbe da escludere neppure un ribasso.

Le tensioni Usa-Iran potrebbero avere ripercussioni tanto pesanti?
Oltre ad esportare 3 milioni di barili al giorno, la Repubblica islamica ha anche il controllo dello stretto di Hormuz da cui passano circa 17 milioni di barili, cioè la produzione che arriva da Emirati Arabi, Oman, Kuwait, Iraq e Arabia Saudita. Le tensioni mediorientali sono la principale ragione dei rincari del greggio. Ultimamente hanno pesato gli scontri tra governo turco e curdi nel nord dell’Iraq.

Indipendentemente da scossoni politici, pensa che il prezzo possa sfondare il tetto dei 100 dollari a barile come ha previsto Alan Greenspan?
Ci sono buone probabilità. Personalmente ritengo più probabile un ribasso. Sono convinto che gli ultimi picchi del petrolio siano exploit isolati e non una tendenza consolidata. Ma dal mercato del petrolio ci si può attendere di tutto. I fondamentali parlano di una domanda in continua crescita, ma il mercato è sempre meno ancorato all’economia reale e più alle spinte speculative del momento. Staremo a vedere.

Ci dobbiamo aspettare ulteriori impennate dei prezzi sul fronte dei carburanti?
La benzina potrebbe tranquillamente arrivare a costare un euro e mezzo al litro. I rincari interesseranno tutto il settore energetico perché la domanda non ha mai smesso di crescere. L’euro forte ci tiene al riparo ma non così tanto. Se confrontiamo la situazione attuale con la quotazione del 2002-2003, quando c’era la parità con il biglietto verde, rileviamo un prezzo della verde più alto di soli 3 punti percentuali. Questo succede per il peso delle tasse: su 1,30 euro al litro ben 77 centesimi vanno allo Stato.

In passato, alcuni paesi produttori avevano pensato di ancorare il greggio all’euro. Secondo lei è un’opzione plausibile?
È un’idea che salta spesso fuori in momenti di forte volatilità dei mercati valutari, ma penso che sia difficilmente realizzabile. Gli Stati Uniti hanno creato le basi del mercato petrolifero globale. Le quotazioni hanno sempre fatto riferimento ai valori in dollari di Londra e New York. Passare all’euro? Più facile dirlo che farlo.