La pessima figura dell
Category : Clima
articolo di Gianni Silvestrini, Direttore Scientifico del Kyoto Club
Riflessioni sulle motivazioni, i pericoli e le conseguenze degli attacchi del governo italiano agli impegni europei sul clima. I veri costi, ma soprattutto i benefici economici.
Le posizioni di attacco del governo italiano agli impegni europei sul clima meritano una attenta riflessione. Le motivazioni possono essere lette come la volontà di raccogliere il malessere del mondo industriale che sulla partita del clima si è mosso tardi e ora si trova in difficoltà. Pare piuttosto curioso, peraltro, il ruolo del Ministro dell’Ambiente, più realista del re nel farsi portavoce degli interessi dei comparti più arretrati della nostra industria.
Ma non basta. Ascoltando alcune dichiarazioni di esponenti governativi si ha la sensazione che l’attuale crisi finanziaria abbia rappresentato un’insperata occasione per attaccare gli impegni internazionali sul clima vissuti finora con malcelata sopportazione. Questo atteggiamento evidenzia un desolante vuoto culturale che contrasta in maniera stridente con le posizioni delle altre forze del centrodestra europee in Germania, Gran Bretagna e Francia.
Il tentativo è politicamente molto insidioso. Non fare approvare dal Consiglio d’Europa entro dicembre il pacchetto energia-clima vuol dire impedire al Parlamento europeo di approvarlo prima del suo scioglimento nella prossima primavera e quindi indebolire ruolo propulsivo dell’Europa all’appuntamento mondiale del dicembre 2009 a Copenaghen nei confronti di Cina, India, Brasile.
Fortunatamente risulta difficile all’Italia far passare questa posizione che vede quasi tutti i governi europei, il Parlamento Europeo e la Commissione Europea d’accordo nel mantenere gli obbiettivi al 2020. Ed è malinconico vedere la mappa dell’Europa con tutti i paesi (inclusa Grecia e Portogallo) impegnati sul clima e l’Italia, sola contraria con i paesi dell’Est. E anche la posizione di questi andrebbe meglio analizzata. Il principale alleato in questa battaglia di retroguardia secondo i nostri rappresentanti sarebbe infatti la Polonia. Ma si legge nel comunicato finale messo in linea sul sito della Conferenza di Poznań: «Il ministro dell’ambiente Nowicki ha sottolineato che la crisi finanziaria non deve essere una scusa per non prendere azioni di intervento rapido» e poi: «Unire gli sforzi contro la crisi finanziaria e il cambiamento climatico può portare benefici a tutto il mondo». Insomma, esattamente il contrario di quello che afferma la Prestigiacomo.
E veniamo alla querelle sui costi. Il documento del governo, che parlava di un costo complessivo stimato tra 23 e 27 miliardi €/anno, è stato abbandonato e si fa ora riferimento agli scenari elaborati dalla Commissione che variano tra 5,3 e 18,2 miliardi €/anno. L’Enea ha elaborato scenari con costi inferiori ed è appena uscito un rapporto McKinsey secondo cui l’Europa potrebbe arrivare a stabilizzare i suoi consumi energetici nel prossimo decennio, grazie a risparmi pari a 440 MTep, allineati con la riduzione del 20% dei consumi chiesti dalla UE, con un vantaggio economico netto per la collettività.
Sui costi delle fonti rinnovabili occorre verificare quali valori per le curve di apprendimento sono stati adottati nei diversi modelli, quali costi per i combustibili fossili…
Insomma, le analisi vanno fatte seriamente. E anche il rapporto con Bruxelles deve essere impostato con serietà. Si possono discutere le modalità di raggiungimento degli obbiettivi. Alcuni sono certamente penalizzanti per il nostro paese e ambientalmente scorretti, come gli impegni per le case automobilistiche che favoriscono i costruttori di auto di taglia maggiore. Su altri si può trovare un compromesso in termini di flessibilità.
Stona invece il polverone sollevato che, oltre a rappresentare una minaccia per la battaglia per il clima, non consente alla nostra industria di individuare i percorsi più intelligenti per inserirsi nella rivoluzione energetica che comunque è già partita.