L’energia pulita diventa business. “Sarà un mercato da 2000 miliardi”

L’energia pulita diventa business. “Sarà un mercato da 2000 miliardi”

Category : Energia

Dal solare all’eolico, tutte le opportunità: una crescita da record nei prossimi anni Lo sviluppo delle tecnologia ambientale come una nuova rivoluzione industriale.

PROVATE a mettere in fila questi dati. Uno, più di un quarto dell’anidride carbonica, il gas serra che rischia di cuocere il pianeta, viene dalla produzione di elettricità. Due, oltre metà delle centrali elettriche attualmente in funzione nel mondo ha più di vent’anni. Bisogna rimpiazzarle e costruirne di nuove, visto che si prevede che la domanda globale di elettricità aumenterà del 50 per cento da qui al 2030.

Infatti, l’Aie, l’agenzia per l’energia dell’Ocse, l’organizzazione che raccoglie i paesi industrializzati, prevede che bisognerà investire, nello stesso periodo, 7.500 miliardi di euro per costruire queste centrali. Tre, un quadrato di pannelli solari di 250 chilometri di lato, piazzato nel Sahara, sarebbe in grado di fornire, dicono gli esperti, tutta l’elettricità di cui il mondo ha bisogno. Altri esperti dicono che il vento può dare un decimo dell’energia mondiale. Insomma, c’è una montagna di quattrini da investire presto nella produzione di elettricità, ma le nuove centrali potranno essere sempre meno quelle tradizionali – a gas o a carbone – e sempre più quelle alternative, perché bisogna ridurre le emissioni di anidride carbonica.

C’è già chi ha messo in fila questi dati ed è giunto alla conclusione che l’effetto serra è una gigantesca iattura, ma, proprio per questo, anche una straordinaria opportunità. Il risultato è importante.

Perché chi teme che gli appelli degli scienziati e il volatile effetto panico che destano nell’opinione pubblica non siano sufficienti ad evitare che la “rivoluzione verde”, anti-Co2, sia solo una moda passeggera, può rasserenarsi. C’è al lavoro un meccanismo assai più solido, ripetutamente testato nei secoli: un numero sempre più ampio di persone si sono accorte che, nella “rivoluzione verde”, c’è da fare un bel po’ di soldi. Quanti? Nessuno, per ora, si aspetta che, ad esempio di quei 7.500 miliardi di euro di nuove centrali, più di un rivolo vada a fonti come il sole e il vento. Ma, quando la torta è molto grossa, anche le briciole sono cospicue.

Il ministero dell’Ambiente tedesco ha recentemente calcolato che il mercato globale delle tecnologie ambientali, che oggi vale già 1000 miliardi di euro, raddoppierà a 2.200 nel 2020. Per quanto riguarda specificamente le centrali, una grande compagnia di assicurazioni, come la tedesca Allianz, calcola che in impianti ad energia rinnovabile siano stati investiti 45 miliardi di euro nel 2005, che diventeranno 250, cinque volte di più, nel 2020. E può darsi che assicuratori e politici tedeschi siano fin troppo prudenti.

Da un anno o poco più, i soldi hanno già cominciato a girare vorticosamente nel mondo dell’economia ambientale. Il più grosso produttore di turbine a vento ha appena raddoppiato, in un solo anno, la sua capitalizzazione e vale in Borsa poco meno di 10 miliardi di euro (a ridosso, per dire, della Ford). Quasi altrettanti ne sono stati raccolti, nel 2006, distribuendo azioni, da aziende impegnate nel cleantech, la tecnologia ambientale.

Le transazioni finanziarie (accordi, fusioni) hanno superato per la prima volta, l’anno scorso, il valore di 75 miliardi di euro, dicono gli analisti di New Energy Finance, una società di consulenza specializzata nel settore. Gli investimenti veri e propri, in impianti e macchinari, sono saliti dai 20 miliardi di euro del 2004 a oltre 50 miliardi. Destinati a crescere in fretta: la sola divisione ambientale del gigante americano General Electrics dichiara ordini arretrati per quasi 40 miliardi di euro.

Ma, forse, più dei numeri vale, per fiutare il vento, guardare le persone. Finanche gli gnomi svizzeri della Banque Pictet, tanto affidabili da trovarsi a gestire un portafoglio mondiale di 220 miliardi di euro di risparmi, hanno deciso di mettere in piedi, per intercettare tutto questo movimento, un fondo di investimenti chiamato “Energia pulita”. E, soprattutto, si sta muovendo Silicon Valley.

I tecnici e i creativi dell’ultima grande rivoluzione industriale, quella informatica, riferiscono le cronache, si stanno muovendo a cercare opportunità e lavoro nelle nuove aziende del cleantech. Ciò che conta è che lo stanno facendo i veri eroi di quella rivoluzione, i finanzieri del venture capital che hanno nutrito e allevato le imprese nascenti, destinate a diventare giganti dell’economia globale. Gente come Vinod Khosla e John Doerr, che stanno investendo nel solare.

Come stanno facendo Sergei Brin e Larry Page, i padroni di Google. Doerr non ha dubbi che la storia si ripeterà: “Il cleantech è basato sull’innovazione scientifica e tecnologica, è promosso da imprenditori, è frammentato come Internet”. Del resto, non sono solo i profeti del venture capital a parlare di una quarta rivoluzione industriale, dopo quelle del vapore, dell’elettricità e del computer. Lo proclamano i documenti della Ue e dei governi: il salto tecnologico connesso all’energia pulita può dare una spinta paragonabile a quella degli anni ’90 alla produttività e all’economia. Il rapporto della Allianz parla di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, di un’industria ambientale che fornisce alla Germania un contributo paragonabile a quello dell’auto nel secolo scorso.

Dieci anni fa, la rivoluzione informatica ha sconvolto le gerarchie dell’economia mondiale, facendo sembrare dinosauri i colossi di allora e portando alla ribalta giganti del tutto nuovi, come Microsoft e Google. Anche la possibile rivoluzione dell’energia pulita si apre su un terreno ancora inesplorato, dove non esistono ancora rendite di posizione, gerarchie precostituite, giganti che precludano l’accesso e dove una singola invenzione fortunata può creare un protagonista dalla sera alla mattina: il grosso degli attori sono facce nuove al grande business e le multinazionali sono, spesso, all’inseguimento dei nuovi venuti.

A differenza dell’informatica, però, non sono gli americani, oggi, a dominare il cleantech. Il 20 per cento del mercato delle tecnologie ambientali è in mano ai tedeschi. Nelle classifiche degli attori più importanti spiccano, con i tedeschi, danesi, spagnoli, cinesi, indiani, spesso davanti agli americani. E gli italiani? Zero: in questa partita ancora non ci siamo.

La chiave di volta del cleantech, la sua pietra filosofale è l’energia solare, dove svolta tecnologica e rischio imprenditoriale più facilmente possono incrociarsi con l’effetto moltiplicativo di una rivoluzione. Sfortunatamente, è anche la più elusiva: l’energia iniziale è gratis, ma sfruttarla è difficile e costoso.

Oggi, il totale di energia solare prodotta nel mondo è equivalente ai bisogni quotidiani di meno di tre milioni di case. La tecnologia più solida e matura, per produrre elettricità dal sole, è quella della concentrazione termica, a cui si sono dedicati, in particolare, gli spagnoli con Abengoa, Acciona e Iberdrola. Una platea di specchi concentra i raggi del sole su una caldaia, dove l’acqua si scalda fino a diventare vapore che, poi, come nelle centrali tradizionali, muove la turbina di un generatore. Se il parametro di riferimento sono i costi di una normale centrale a carbone – il sistema più sporco, ma anche più economico di produrre elettricità – dove produrre un chilowattora costa da 2 a 4 centesimi di euro, quelli di una centrale a solare termico sono attualmente lontani, ma non lontanissimi: fra i 7 e i 9 centesimi. E di poco superiori ai 6-7 centesimi di un chilowattora prodotto con il gas.

La distanza è enormemente maggiore per la via più fascinosa del solare: il fotovoltaico, dove i pannelli trasformano direttamente l’energia solare in elettricità. Oggi questo avviene con pannelli al silicio, lo stesso materiale utilizzato per i chip dei computer. Sia pure partendo da volumi assai piccoli, il fotovoltaico sta conoscendo un boom: di fatto, oggi si usa più silicio per i pannelli che per i chip. In testa, nel settore, ci sono i giapponesi della Sharp, il gigante dell’elettronica di consumo, con un fatturato di 1,2 miliardi di euro nel 2006, più della somma dei due più immediati inseguitori: i tedeschi di Q-Cell (539 milioni di euro) e i cinesi di Suntech (445 milioni di euro). Ma nella corsa si sta inserendo di prepotenza Bp Solar, braccio della multinazionale del petrolio, che punta ad un fatturato di 750 milioni di euro nel 2008.

Nonostante la rapida discesa del costo dei pannelli, l’energia fotovoltaica è ancora cara: da 26 a 34 centesimi per chilowattora, considerato il costo di impianto (sussidi esclusi). La svolta che tutti attendono è quella che consenta di sostituire i pannelli al silicio con film di plastica.