Silvestrini:

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Category : Ambiente

di ALESSANDRO DE PASCALE da La Nuova Ecologia

Intervista a Gianni Silvestrini, direttore di Qualenergia e consulente del MSE.

«Il dibattito sul riscaldamento globale è entrato in una nuova fase» ne è convinto Lawrence Summers, professore alla Haravard University ed ex segratario americano al tesoro dell’era Clinton. Ne discutiamo con Gianni Silvestrini, direttore della rivista “Quale Energia” e consigliere per l’energia del Ministero per lo sviluppo economico.

Silvestrini ha letto l’intervento di Summer pubblicato domenica da Il Sole 24 Ore, cosa ne pensa?
La prima impressione che mi sono fatto è che ci sia una posizione diversa rispetto a quella di Bush e convinto che si debba arrivare ad un accordo mondiale. Questo mi sembra un cosa positiva. Ciò che invece non condivido sono alcune delle ossevazioni tecniche che il professore fa sul protocollo di Kyoto.

Summers quantifica i sussidi all’energia a livello mondiale in circa 250 miliardi di dollari.
Sono completamente d’accordo con il suo ragionamento secondo cui tutto questo si può fare con poco costo. Fino a quando va tutto bene nelle osservazioni che fa, sono totalmente condivisibili.

Summers evidenzia principalmente alcuni problemi “strutturali” legati al protocollo di Kyoto. Uno è la cosiddetta Borsa delle emissioni. Condivide le critiche a questo sistema?
Come dicevo prima non condivido alcune considerazioni tecniche ed una di queste riguarda proprio l’osservazione critica sullo schema delle Emission Trading perché se funzionerà bene in questa prima fase, sevirà successivamente ad aiutare gli stati al raggiungimento degli obiettivi. Il fatto che le quotazioni sulle riduzioni di CO2 sono molto basse, è vero per questo periodo, fino al 2007, perché gli stati hanno dato un eccesso di quote alla loro industria, ma già nel periodo che arriva al 2012 le quotazioni saranno molto più alte, di 20 euro a tonnellata di CO2. Quindi la Borsa delle emissioni nella fase di Kyoto sarà più efficiente di quanto non lo sia oggi. Perciò l’osservazione critica di Summers mi pare poco corretta.

È giusto che le aziende italiane investano in energie rinnovabili nei paesi in via di sviluppo?
Io credo che dovrebbero farlo in Italia. Il problema è che al momento gli interventi di riduzione rigurdano investimenti a bassisimo costo. Ma in futuro con la crescita della domanda di paesi che sono molto lontani dai traguardi, come l’Italia, la Spagna, il Canada o il Giappone, ci sarà una forte domanda di crediti di CO2, e a questo punto i meccanismi flessibili previsti nel protocollo potranno diventare utili per l’incremento di tecnologie pulite nei paesi in via di sviluppo. Kyoto prevede che nella prima parte gli impegni sulle riduzioni siano presi solo dai paesi industrializzati, ed è anche giusto che sia così visto che sono loro i maggiori responsabili. La vera sfida è che Kyoto 2 veda l’impegno anche de paesi in via di sviluppo.

I paesi in via di sviluppo accetteranno di vincolarsi ad obiettivi di riduzione delle emissioni?
Alla Cina che aumenta del 10% all’anno non si chiede di ridurre le emissioni. Si chiede di passare dal 10% all’8% per esempio, al massimo al 7%. Però con obiettivi vincolanti, ognuno avrà il suo obiettivo differenziato. Sarà la trattativa eco-diplomatica a definire poi paese per paese l’impegno. Ma secondo me o c’è un impegno preciso e differenziato da parte di tutti o non ha alcun senso un accordo Kyoto 2 che non includa questi paesi emergenti.

Kyoto sta stimolando comportamenti responsabili dei governi?
La politica europea del 20% di rinnovabili, 20% di riduzione delle emissioni inquinanti e 20% di risparmio energetico al 2020, deriva solo dal fatto che l’Europa vuole essere leader della battaglia mondiale, quindi sono gli accordi e gli obiettivi internazionali a stimolare i governi. Naturalmente non tutti lo hanno fatto. L’Europa l’ha fatto, il Giappone sta facendo alcune cose, gli Stati Uniti stanno facendo poco. Ma se non ci fosse un quadro di riferimento internazionale, e ogni paese fosse lasciato solo, le azioni messe in cantiere sarebbero molto più modeste di quelle che ci sono attualmente. Voglio sottolineare che quelle che partiranno adesso e gli obiettivi europei vincolanti, come ad esempio le rinnovabili determineranno una vera e propria rivoluzione energetica, cioè per la prima volta nella storia nel prossimo decennio si investirà in Europa più nelle rinnovabili che in energia convenzionale.

Il protocollo è entrato in vigore con molto ritardo. È ancora efficace?
È entrato in vigore molti anni dopo perché non lo ha ratificato la Russia. Gli Stati Uniti si sapeva già che non lo avrebbero ratificato e quindi è entrato in vigore nel momento in cui la Russia lo ha ratificato. Ma l’importante è che sia entrato in vigore. Se non fosse entrato in vigore sarebbe stato un fallimento colossale.
Ritengo che il ritardo sia dovuto al fatto che molti paesi hanno sottovalutato gli obiettivi e creduto che non sarebbe mai entrato in vigore. Fra questi l’Italia che nella scorsa legislatura ha fatto poco o niente. Chi ha creduto fin dall’inizio, come la Germania ed altri, hanno invece sfruttato l’occasione per trasformare la propria industria in rinnovabile e trasformato quello che era un rischio in un’opportunità aziendale.

L’Italia è dunque al palo?
Siamo terribilmente in ritardo. Ci sono segnali confortanti solo negli ultimi mesi. Si è dato un colpo di accelleratore nel settore civile con la nuova legislazione sugli edifici. Secondo cui i nuovi edifici che verranno realizzati a partire dal 2010 avranno consumi che sono la metà di quelli che erano ammessi nel 2005. Da questo anno c’è l’obbligo del solare termico sulle nuove case. C’è la detrazione fiscale del 55% sugli interventi di riqualificazione energetica nell’edilizia esistente. C’è l’obiettivo di 3.000 megawatt di solare e fotovoltaico. Insomma ci si sta muovendo sul settore dell’edilizia, rimangono scoperti i trasporti.